Davide Bordoni

Titolo: Il Poema del vento – Gli emersi poesia
Autore: Davide Bordoni
Editore: Aletti Editore
ISBN: 978-88-6498-952-5
Pagine: 92

IL POEMA DEL VENTO

Poi, se avessimo la giusta stoffa, le musicheremmo. Sì, certo, forse sarebbe un errore. Ma se ce l’avessimo, la stoffa giusta, le musicheremmo senz’altro. Ci metteremmo lì. Come da ragazzi. Perché poi fare poesia è questo, no? E’ fissare il tempo. Inchiodarlo al muro dell’eternità. Costringerlo alla gioventù eterna e allora lasciateci riandare a quando, da ragazzi, senza nemmeno sapere lo straccio di un accordo o come fossero disposte le note sul flauto dolce e nemmeno – essere giovani è un’aggravante irrimediabile! – avevamo mai sentito la prima Gnosienne di Erik Satie, ci arroventavamo sul pianoforte di mio padre e speravamo che dall’orecchio e dal caso uscisse il sublime. Soprattutto lui, Davide. E mascheravamo il turbamento di una sequenza miracolosamente spuntata dalle dita con sguaiate risate adolescenziali. Ma io adesso, adesso che ripasso le poesie di Davide, proprio oggi, che ho trascorso il tempo a leggere e in questo preciso istante a scrivere, lo faccio ascoltando il Requiem di Zbigniew Preisner. Fate così, procuratevelo. Le poesie di Davide le avete già in mano. Ma i casi sono due: o andate in cima al Pizzo Coca, e masticate parola dopo parola mentre attorno il teatro è il portento che è, e la soundtrack non da meno – Davide dice una croce nel Paradiso – oppure vi procurate il Requiem di Zbigniew Preisner. Basta un computer, la connessione internet, youtube eccetera. Se volete davvero capire che cosa c’è dentro la poesia di Davide, dovete leggere mentre ascoltate Preisner, e poi Hans Zimmer (Thin Red Line), dovete ascoltare Vangelis, Puccini, Glenn Gould. Dovete prendere l’Agnus del Requiem di Camille Saint-Saens. E allora sì, ci capirete qualche cosa. Sentirete vibrare questi versi, le note emergeranno da sé, non c’è passo di giornata, schioccare di dita, tuffo al cuore, sguardo secco, lampo di vita, ombra di morte, bacio in fronte, imposta che sbatte, cucchiaio nella minestra, strillo di bimbo che non sia un’immagine di film, un passaggio di quartetto d’archi. Che non sia parola. E quando si riesce a fare suonare le parole, non si è vissuto inutilmente.
Allora, leggete. Ascoltate Preisner e Saint-Saens, intanto. Poi leggete senza ascoltare niente. La musica arriva da sé.

Ps. Davide, amico mio, ricordi? Non ce lo siamo mai detti – perché noi non siamo gente che si dice le cose, vero? Tanto le cose le sappiamo lo stesso. Al massimo le scriviamo, un giorno o l’altro. E, ecco per te il giorno è arrivato tanto tempo fa, ti sei messo a scrivere, a dirmi e a dirci. Per me il giorno è oggi – ma su quel pianoforte avevamo un desiderio disperato di dire al mondo che le nostre ossa erano corde della nostra chitarra. Tu l’hai fatta suonare, la tua chitarra. Ti invidio, perché è già la musica dell’aldilà.

Mattia Feltri (amico e giornalista – La Stampa – )

AGONIA & ESTASI

Gli estremi si cercano e si respingono in questo libro di Davide Bordoni. In “Agonia & Estasi” lo sguardo si apre sulla realtà concreta oppure su un mondo visionario, il tempo si sposta alternativamente nel futuro o in un passato arcaico, oppure si dilata nello spazio interiore in un secondo. Allo stesso modo i versi scelgono un ritmo tormentato, incatenandosi l‘uno all’altro, come in Intropoietica, il componimento che apre in modo paradigmatico la raccolta, oppure si stemperano nella melodia della breve filastrocca che chiude il libro, dedicata alla luna, in una rimodulazione di uno dei topoi più frequentati della poesia di tutti i tempi. La versificazione di Bordoni va dal limite di una ricerca in ritmi spezzati della poesia intesa come massima espressione di libertà, ma anche come prigionia di una ricerca solitaria, all’estremo opposto dell’armonia semplice che canta il percorso perenne della luna nel cielo.

Tra queste due polarità del dire poetico e della visione del mondo, tra agonia ed estasi, Bordoni misura la distanza o la vicinanza al suo Paradiso perduto. Tanto più ci si allontana dal bene, tanto più il mondo si disgrega in una dimensione ancestrale di dolore e di violenza. Negli scenari neri che si dipingono su fondali oscuri, arcaici o postmoderni, il Male è chiamato direttamente in causa, e la morte la prima protagonista. Solo nell’esperienza della Natura, vissuta in completa solitudine, l’anima ritrova l’armonia connaturata alla più autentica dimensione interiore dell’uomo.

Nella resa poetica della condivisione dell’esperienza col mondo naturale, la poesia di Bordoni esprime pienamente la bellezza commovente della natura, rende onore alla capacità dell’animo umano di partecipare ai fenomeni naturali, impetuosi come un temporale o delicati come il trasmutare dei colori nel passaggio verso il tramonto o l’alba. “Dal ramo più a est” è tra gli esempi più significativi di questa modalità di Bordoni di essere osservatore e protagonista di scenari naturali. Dal verso iniziale, forse l’incipit più suggestivo di tutto il libro, “Questo lago non ha abitudini”, l’autore prosegue con una descrizione del lago di Lecco e delle montagne sovrastanti, la Grigna, il Moregallo, il Resegone, che si fa sempre più metafisica: “Questo lago nasconde misteri,/ nel volo supremo del guardiano nibbio/ scruta, scorgendo presenze che il bosco non ama, e il suo portentoso castello, superiore,/ domina la modernità incalzante/ incoronandosi di luce nel buio assoluto”. I versi della conclusione, nella loro disarmata perentorietà, agiscono invece come un brusco richiamo all’evidenza di una verità semplice, formulata con radicalità e ingenuità quasi infantile, in aperto contrasto con la complessità dei versi che li precedono: “l’originale di questo dipinto/ è esposto in Paradiso,/ e porta la firma di Dio.”

In “Agonia”, la seconda parte del libro, prevale un ritmo ossessivo, frastagliato, ipnotico, a delineare un mondo di devastazione, uno scenario gotico e funereo, violento e guerresco, dove “Nell’aurora che si rovescia/ regna una voragine nel vuoto.” In questo “miraggio disintegrato”, Madre Natura non può che essere ferita, la terra diventa capace di ogni male, come recita un verso di “Teorema del male”, e l’agonia non è metafora o iperbole, ma reale trapasso nella morte di un uccello colpito da un proiettile, di un soldato, di una madre, di una bambina, vite strappate con violenza alla vita.

A ricucire i margini tra il cielo e la terra è il cuore bambino del poeta adulto. Soprattutto nella terza parte del libro, “Estasi”, e nell’ultima “Ricordi e divagazioni… tracce di un uomo”, la poesia si rivela capace di conservare il ricordo e il calore degli affetti passati e presenti e di ridare ali a un sogno immortale. Se “gli occhi sgranati di un bimbo,/ hanno visto morire la Fata turchina,/ bruciare Pinocchio/ o sparare a Biancaneve”, se non si può che constatare che “il semplice passato non tornò mai più”, resta l’incanto di quello che la Natura offre, declinato con assoluta precisione nel qui e ora dell’esperienza: “Pare tuffarsi la gialla farfalla/ nell’acqua diamante di quel torrente/ poi, invece, galleggia solerte, in un vento così giovane/ che non sa immergersi nell’acqua cristallina”. Piccoli angoli di paradiso che ricordano al poeta “che c’è un bene che ci comanda”, e che si fondono, con assoluta naturalezza, nel richiamo di un’infanzia, che è origine e fondamento di quello stesso bene: “Ricordo,/ la mia mano nella tua,/ camminavo bambino seguendo la tua voce/ come un fiume che rincorre il lago”.

Nell’esistenza illogica di un quotidiano “impreciso vivere” che persegue solo l’apparente precisione dei numeri, la poesia si manifesta in epifanie di autenticità poco appariscenti che Bordoni, riconoscendosi poeticamente nella figura archetipica del “puer aeternus”, cerca nei luoghi più appartati, nelle montagne delle Prealpi lombarde, le più prossime ai luoghi in cui vive e lavora, e nel suo stesso cuore.

Maria Tosca Finazzi

Titolo: Agonia & Estasi – Gli emersi poesia
Autore: Davide Bordoni
Editore: Aletti Editore, 2014
ISBN: 978-88-6498-952-5

Pagine: 88

Recensione video – Beatrice Fiaschi, giornalista e scrittrice.

Titolo: PREGHIERE D’AUTUNNO
( il dolore è nell’Anima ) – Karme
Autore: Davide Bordoni
Editore: Casa Editrice Kimerik, 2019
ISBN: 978-88-9375-960-1
Pagine: 72

PREGHIERE D'AUTUNNO

“Preghiere dʼautunno” è la terza opera di Davide Bordoni, poeta ormai affermato nel panorama italiano, che ci propone un percorso di versi davvero personale e sofferto, un dibattersi dʼanima che si fa parola e arriva fino al nostro cuore, passando direttamente dai pori della pelle. Infatti le emozioni qui descritte sono così vivide e vulnerabili che si avrebbe paura a toccarle, temendo che come preziosi cristalli possano rompersi in mille pezzi alla prima vibrazione più forte. E invece, dietro questa purpurea delicatezza del filo lieve delle parole del poeta, si nasconde una forza capace di scalare le montagne innevate, una statura sentimentale elevatissima e un animo che pare cristallo e invece è diamante.

Sicuramente tornano anche in queste liriche gli elementi caratterizzanti la poesia del Bordoni e che abbiamo già avuto modo di conoscere nelle due precedenti opere “Il poema del vento” e “Agonia&Estasi”: lʼinseguirsi, lʼattrarsi e il rifiutarsi ancestrale degli opposti, lo scontro interiore tra parti eternamente in lotta, la presenza di scenari post-moderni fatti di lacrime e amianto, il
rifugiarsi nelle braccia di quel grande amico fedele che è il silenzio, la descrizione di alture scalate col pensiero e col corpo, la Natura incontaminata che rappresenta quello spazio reale – ma anche interiore – dove i passi non arrivano e dove dunque il pensiero può elevarsi, volando al di sopra di ogni sofferenza e di ogni umana crudeltà. Ancora una volta il Bordoni uomo e quello poeta tornano a coincidere: egli non scrive ma fa vibrare le sue parole e ancora una volta non si limita a descrivere la Natura da clemente spettatore, ma la racconta mostrandosi parte di essa,  poiché solo nel Tutto ci si può riconoscere come parti di qualcosa e lʼidentità è salva, tra strascichi di vita. La poesia che ci viene qui proposta non è dunque semplice lettura, ma si fa ascolto complessivo di una melodia più
alta che necessita lʼabbandonarsi allʼebbrezza di unʼesperienza panica.

Accanto a questi elementi che possiamo ritrovare e riconoscere, la poetica di Bordoni si arricchisce
di nuovi spunti che vanno a impreziosire una versificazione già importante: lo stile emozionale che è proprio del poeta, in “Preghiere dʼautunno” come forse mai prima dʼora, regala ulteriori perle al lettore, accompagnandolo su “distese di salgemma”, “deserti di acqua cobalto” e “tra scintille che
distillano lʼacqua”, tutti scenari invisibili agli occhi e che però riusciamo a visualizzare attraverso le sue parole, come se quelle pupille speciali ce le donasse lui stesso attraverso il cristallino movimento dei suoi versi.
La dimensione della preghiera che questa opera assume è molto significativa e densa di un simbolismo non tanto religioso, quanto proprio spirituale. Vi sono infatti poesie in cui prevale un senso di abbandono al destino, altre in cui cʼè un Davide combattivo e a tratti cruento che non ha niente da perdere, altre ancora in cui si fa di nuovo viva la speranza – e proprio con queste si chiude il cerchio – come a segnare un percorso in cui lʼanima si dibatte ed effettua innumerevoli passaggi
prima di riconquistare la pace. Ecco la similitudine con la preghiera, uno stato dellʼanimo in cui il nostro corpo, la nostra mente e il nostro cuore si chiudono a seguito di un malessere e, pregando di essere aiutati, attraversano varie fasi: la supplica, il pentimento, lʼimpotenza, la sete di giustizia, la
volontà di riappacificarsi con se stessi e col Creato, il desiderio di essere accolti e perdonati.

Ognuna di queste liriche è una preghiera, dunque uno stato dʼanimo, dunque un desiderio, dunque una visione. E ci insegna che non cʼè nulla di male nello stare in ginocchio: è solo uno stato intermedio verso la redenzione.

Lʼaltra tematica nuova e pregnante del testo è quella relativa allʼautunno, stagione di passaggio, in cui vengono tradite le speranze estive e in cui si è costretti ad assistere, impotenti, al lento perire della Natura. Lʼautunno ha però una doppia valenza, questa già descritta e forse più evidente della caduta, ma anche quella soggiacente al tappeto di foglie, ossia che anche in autunno possa sopravvivere la speranza crepuscolare dellʼaprirsi di un nuovo inverno che possa coprire tutto con la sua coltre gelata, ponendo il seme per una rigenerazione. Un altro stato intermedio senza il quale non ci si potrebbe elevare. Questa è la stagione più amata dal poeta perché solo attraverso i suoi
effluvi si può arrivare a respirare qualcosa davvero vicino allʼessenza, e lo si può fare in quello stato privilegiato di raccoglimento tipico della preghiera e della passeggiata in montagna. Lo si può fare con un occhio al cielo, scorgendo la costellazione di Pegaso e quella di Andromeda che animano la volta celeste in autunno e che forniscono il titolo a una delle liriche, permettendo al lettore di
“varcare lʼoblio del confine”.
Proprio per questa complessità – e contemporaneamente estemporaneità – del sentire, lʼopera non presenta la classica divisione in sezioni usata nei precedenti lavori, ma viene proposta come un fluire, senza interruzioni o compartimenti stagni, in modo che le parole trabocchino da una pagina allʼaltra, perché la poesia è uno scambio di anima, è un percorso. Solo qualche riga di prosa accompagna il flusso di coscienza del poeta, introducendo il lettore al mood delle liriche che seguiranno.
Perché Charles Baudelaire diceva che si può essere sempre poeti, anche in prosa. E Bordoni lo è sempre e comunque. Anche quando sogna. 

Beatrice Fiaschi, giornalista e scrittrice.

BELLEZZA

La poesia è suono che emerge da un paesaggio, è ritmo battuto dal cadenzare dei piedi. Quelli di Davide sono piedi abituati all’arrampicata, all’ascensione verso la vetta, sono piedi che si fanno prensili sulla roccia, lievi nel bosco. Così le sue parole: acuminate o levigate, nascono da una ricerca esistenziale che diventa ontologica allorché aprono la strada a domande che non hanno risposte. Il preludio della sinfonia dedicata da Davide Bordoni alla Bellezza, inizia con passo lieve, contemplativo, con un’immersione quasi sacra nella natura. Un canto lo colpisce, una preghiera lo avvolge “…primo salmo dei fringuelli / che nell’originale sublime nota, / ininterrottamente vibrata, / in qualsivoglia improbabile tinta, / accoglie la resurrezione/ di tutte le vite / sfuggite, innocenti, all’oscurità della gelida notte.

L’inno sacro iniziato all’alba, dilaga nell’universo, accarezza bambini ancora dormienti, angeli

dalle ali spezzate chiamati a scendere in terra in sembianze umane. Il momento di grazia è subito spezzato dal rombo dei motori che chiude la seconda poesia dal titolo Il Mondo che avanza. Il respiro della foresta è quasi soffocato dall’ombra del Mondo che svelle la luce del sole. Il nostro Wanderer che respirava all’unisono con la natura, è strappato al silenzio meditativo e nella disarmonia improvvisa e inaspettata cerca una via per ritornare al benessere infranto. La sua ricerca, essendo egli poeta, s’incammina verso il regno dove abitano le parole capaci di scaldare l’ anima, di affievolire l’ombra affinché di nuovo possa penetrare la luce, il calore del sole.

La camminata lieve nel bosco arresta la propria esplorazione geografica per iniziarne una nel tempo; il poeta torna al passato nella speranza di trovare luoghi conosciuti ed amati, capaci di ricreare l’armonia perduta. Sono i luoghi fatati che accostano l’uomo al mistero della vita.

Di una vita riscaldata dall’affetto del nonno, per esempio, il solo a saperlo ricondurre al tempo dei prati estesi, / incontrastati e vividi, / colorati da pastelli divini/ e dominati dal cielo assoluto. Nella sua ricerca il poeta approda al Regno dei morti, là dove abitano Angeli dai manti d’avorio che parlano alla sua anima. Nuovo Enea quando chiede alla Sibilla Cumana di visitare il regno dei morti, che Virgilio nel libro VI dell’Eneide così canta :

Poi alla fine del rito, compiuta l’offerta alla dea,

giunsero ai luoghi felici, nel verde festoso dei boschi

che traspirano pace, dove hanno dimora i beati.

Qui un più libero cielo riveste di fulgida luce

la pianura che gode d’un cielo e di stelle esclusivi.

Davide vi incontra il nonno, coronato di pace e di virtù che gli mette le ali affinché possa librasi nel cielo e riconoscere la bellezza antica, sopravissuta alle Ere, / Alle catastrofi. Appaiono allora davanti ai suoi occhi Immensi pontili da volte ed archi costellati, / torri decorate, snelle e indirizzate ai cieli, / giganteschi porti animati da galeoni, / vascelli e superbe navi dalle vele empie / di Scirocco, Libeccio e Tramontana. / Poi villaggi, precisamente adagiati,/ come bianche greggi, / sui manti scoscesi. / E poi quelle lunghe/ diritte, curve e sinuose e sconfinate strade/ a cui la terra si prostra antica, / perduta e vinta, / quasi che essa, a condurre i destini, / non fosse stata in grado. La poesia si conclude con una sorta di inno al verbo.

E poi, primordiale, il verbo, che il vuoto colma, / che del vuoto scrive e nel vuoto tramanda. /

Parole che dipingono, che tingono,/ accendono donano, placano, / educano, insegnano, / amano, sperano,/ creano/ e poi, / in un solo devastante attimo, / tutto distruggono.

Questi versi dipingono l’universo poetico di Davide Bordoni che alle sue parole chiede moltoe, nelle diverse liriche, alcune sono aspre nella denuncia dei mali del mondo contemporaneo, (Basta! Basta alle parole socialmente fabbricate) altre affannose allorché accompagnano l’ascensione del poeta verso luoghi incontaminati ( Mi riconosco adesso, in questo primo fiato sospeso, / piccolo sasso tra le giganti ardesie, / fendenti, e al luminar del primo sole, nascenti.); altre ancora nostalgiche là dove egli si attarda nelle Pianure bergamasche, luogo della sua nascita e vita, a raccogliere i fili dell’erba ormai falciata, così da poter guardare, da poter vedere, / i nonni, gli zii, i figli, i padri, le madri, gli amici/ volare via / Volarsene via, senza più un saluto/ che i loro occhi, guardandoci, / sapevano darci. /

Nei versi testé citati palese è la vicinanza ai versi 15-16 del salmo 103, riportati nella traduzione di Davide Maria Turoldo:[..] sono erba i giorni dell’uomo, / la sua vita un fiore dei campi: // non appena il vento lo investe / non è più, né del posto v’è traccia; / ma l’amore di Dio è per sempre.

Sorge allora la stessa domanda che il Salmista indirizzava a Dio probabilmente alla fine del III secolo A.C. nel Salmo 144:  Cosa mai è un uomo, Signore, / per amarlo con simile cura?// Questo uomo cui sempre tu pensi! / Nulla più che un alito è l’uomo, / i suoi giorni un’ombra che muore.

Nella lirica I ghiacci se ne vanno Davide Bordoni cambia la metafora per dirci lo scorrere del tempo capace di sciogliere i ghiacci e di ricondurre tutto di nuovo nell’immenso degli oceani.

Consapevole dell’ineluttabilità del suo destino e di quello del mondo, il poeta si rivolge in preghiera alla Dea terra e la supplica in quanto Madre di ogni destino di fargli riprovare le emozioni di un tempo, emozioni che hanno fatto tremare il poeta nel profondo della pelle/ per la bellezza, l’immensa bellezza/ di vedere, di sentire, di sapere./ 

Invece tutto muore e i pensieri alti che un tempo lo abitavano sono annullati dalle corse quotidiane continue che impediscono all’uomo di distendersi nei prati percorsi da un’aria di morte.

La poesia di Davide Bordoni vive in un continuo alternarsi di lotta per dare un senso alla propria.Narrano la sconfitta ma anche la pacificazione e la resurrezione. Il sole nell’eclissi della speranza è coperto da un velo d’angoscia che cancella ogni segno di vita. Eppure, come avviene nella lirica Il tempo che passa il poeta ha conservato uno sguardo capace di cogliere […] il tremore del ruscello, / e il dolce planare / dell’ape che vi si posa. Nella lirica sarà ancora Primavera l’uomo sa che la Primaverà ritornerà per l’Uomo che annega e affoga nella sua chimica, / o nella sua non più utile scienza. / L’uomo sconfitto, vinto da una piccola grandezza ad esso millesima. / Invisibile. / Eppure da così grande orrore par rinascere il Mondo.

Nel racconto poetico, molto magmatico, a tratti lirico a tratti drammatico di una ricerca di senso che ha occupato un lungo periodo della sua esistenza, Davide Bordoni segue i due assi del segno primario dell’umanità: quello orizzontale e quello verticale simboleggiati dalla croce che da segno arcaico diventa segno di morte e di resurrezione nelle religione cristiana. Bordoni, da credente, vive profondamente questo simbolo a cui dedica la poesia che chiude quest’introduzione. Alcune porte dell’universo poetico di Davide Bordoni sono state socchiuse, al lettore scoprire altre o aprire quelle appena scostate.



Mimma Forlani